Castelvero

Castelvero

venerdì 9 febbraio 2024

I MULINI DI CASTELVERO (S. Valdegamberi)



La necessità di macinare i grani ha portato alla realizzazione di mulini azionati dalla forza motrice derivante dagli elementi naturali quali l’acqua o il vento. La presenza di un costante flusso d’acqua nella valle che divide l’antico comune di Castelvero da quello di Vestena era una condizione propizia per insediare dei mulini azionati dalla forza dell’acqua. Quella valle, molto profonda, si riempì un po’ alla volta, soprattutto dopo il Seicento di mulini, fino a prendere il nome di Valle dei Mulini. Il mulino veniva citato per la sua importanza nell’economia di sussistenza del Medioevo anche nella Regola di San Benedetto da Norcia (480-547), dove al capitolo 66 recita: “Monasterium autem, si possit fieri, ita debet constitui ut omnia necessaria, id est acqua, molendinum, hortum vel artes diversas intra monasterium exerceantur, ut non sit necessitas monachis vagandi foris, quia omnino non expedit animabus eorum”. Tradotto, significa che il monastero deve essere costruito in modo che ci sia tutto il necessario lì vicino, tra cui è menzionato anche il mulino, per evitare che i monaci debbano andare in giro in cerca di beni di prima necessità. Vi erano due tipi di mulini maggiormente diffusi nella Terraferma veneziana: il mulino terragno, “terraneo” e il mulino a coppedello, “a copiela”. Il mulino terragno è stata la tipologia di mulino più diffusa della pianura veneta fino al secondo dopoguerra. Era formato da una solida struttura costruita in pietra nei pressi di canali minori. L’acqua che muoveva le ruote idrauliche era condotta lungo apposite canalizzazioni, come ad esempio rogge, lungo il percorso avevano apposite griglie che il mugnaio periodicamente doveva pulire, per evitare che pesci, oggetti, piante e talvolta anche cadaveri danneggiassero le ruote del mulino. Questi mulini spesso erano edifici piuttosto grandi ed al loro interno potevano ospitare diversi locali oltre quelli per uso lavorativo poteva esserci la stanza dove alloggiava il mugnaio e la sua famiglia oppure anche il magazzino dov’era tenuta la farina ed il grano. La ruota del mulino era stretta, ma con un grande diametro, il flusso d’acqua che vi arrivava tramite le canalizzazioni alla ruota spingendola dal basso era gestito dal mugnaio, grazie a delle paratie mobili. Questo mulino era sicuramente più adattabile nel territorio rispetto al modello galleggiante ed aveva un maggior controllo del flusso d’acqua, per questo era molto più diffuso. Un altro tipo era il mulino a coppedello, “a copiela”. Quest’ultimo era diffuso soprattutto nelle aree montane e collinari, come lo è appunto il territorio di Castelvero. Il mulino a coppedello si trovava vicino alla riva di torrenti o canali minori. L’acqua dal gorgo del torrente era deviata mediante appositi canali, detti rogge, per poi raggiungere l’opificio. La ruota idraulica, piuttosto stretta, ma con un grande diametro, era fatta azionare attraverso la caduta dell’acqua dall’alto in cassette (coppelle), le quali una volta riempite in corrispondenza del punto morto, grazie al peso dell’acqua, vincevano l’inerzia della ruota generando così il movimento rotatorio. L’acqua prima di raggiungere il salto, passava lungo una serie di canalette di solito fatte in legno sostenute da dei pali, che terminavano in bocchettoni (secèle) dove poi l’acqua era scaricata sulla ruota. Ogni canaletta aveva un suo meccanismo controllato dall’interno mediante lunghe aste che permettevano di deviare il bocchettone o secèla, così da poter controllare la rotazione della ruota immettendo più o meno acqua, oppure per deviarla su un’altra ruota vicina. Lungo le rogge, spesso in prossimità del mulino si trovavano anche delle paratie fatte in legno (dette bastarde) che, alzate o abbassate, permettevano un ulteriore controllo sul flusso d’acqua. Anche il canale scaricatore era chiamato roggia bastarda, in questo canale confluiva tutta l’acqua in eccesso che veniva reimmessa nel torrente. Negli estimi del 1628 è presente un solo mulino terraneo in località del Palù, sul vajo che divide Vestena da Castelvero, stimato 50 ducati, di Giacomo f. Michele Filipoci. Nel 1634 si riporta lo stesso mulino “un molino da masena con aparechi” nella località della val de Vestena e Castelvero, la cui rendita è stimata in 33 ducati; inoltre è riportata “la rota de un mulin terreno in contrà del Palù” a confine tra le valli di Vestena, Castelvero e San Giovanni in la Rogna, vicentino, (San Giovanni Ilarione, allora in provincia di Vicenza), stimato ducati 33, il cui diritto all’uso spettava per metà, 16 , 5 ducati, agli eredi di Biasio Filipoci e per metà 16, 5 agli eredi di Simon e Marchioro Vanci. Negli estimi del 1639 sono presenti tre mulini: un “molin che masena a logo et a copiela” nella Val de Vestena e Castelvero (Valle dei Mulini) di Giacomo e nipoti dei Filipozzi , la cui rendita è stimata in ducati 60; “Un molin terreno in la val del Vestena e Castelvero che masena a Lago e copiela”, stimato in ducati 60, di Andrea del Brun; un mulino in località del Palù confinante con la val di Vestena e Castelvero che “masena a lago et a copiela”, stimato in ducati 60 di “Gironimo e nepoti di Vanzi”. Nel 1652 i mulini diventano quattro: Nicola Vanzo possiede, oltre ad un asinello utile per traportare i sacchi di grano e di farina, un “molin a copiella che macina a aqua di fortuna”; Francesco Felipozo, che possiede anche “una asena”, “una ruda da molin che macina a gorgo a copiela”; Giacomo Felipozi che oltre ad un “asenelo”, possiede “una ruda da mulin che macina in gorgo et a copiel”; Zanmaria del fu Andrea Del Molin che, oltre ad un “muleto”, “posiede una ruda che macina a copiella”. Sullo stesso corso d’acqua, più a monte, ai confini tra Badia Calavena e Vestena, c’erano nel Seicento, come si rileva da una antica mappa, altri tre mulini, uno di questi era di proprietà di un mio antenato che nel Settecento faceva il “molinaro”. Mio nonno mi raccontava che i mulini dei miei antenati, di cui si trovano ancora i ruderi, rimasero attivi fino all’avvento del Regno d’Italia che, su iniziativa di Quintino Sella, per risanare il bilancio dello Stato, introdusse nel 1869 la famigerata tassa sul macinato. Non era più conveniente proseguire con un’attività tra l’altro svolta in luoghi dove non c’erano strade e si accedeva solo a dorso di mulo. Così furono costretti a interrompere il lavoro di mugnai e a scoperchiare i mulini, per non essere tassati dallo Stato.


Nessun commento: